mercoledì 30 aprile 2014

Riforme, Renzi apre a modifiche su Senato, voto 10 giugno

ROMA (Reuters) - Il presidente del Consiglio Matteo Renzi sarebbe disposto ad accettare alcune modifiche al suo disegno di legge costituzionale che ridimensiona le competenze del Senato, ma non accetterà stravolgimenti all'impianto della riforma, in caso contrario arriva addirittura a minacciare di poter abbandonare palazzo Chigi.
Lo ha detto questa mattina lo stesso Renzi all'assemblea dei senatori del Pd, riassorbendo la fronda di una minoranza del partito che aveva avanzato una proposta di legge diversa, come riferiscono alcuni dei partecipanti. In serata poi, nel corso della registrazione del programma di RaiUno 'Porta a Porta', Renzi ha detto che il primo voto della riforma sarà non più entro il 25 maggio ma entro il 10 giugno: "Siccome la polemica era che l'iniziativa era solo a fine elettorale, vi mostriamo che non è così e arriviamo al 10 giugno per il voto in prima lettura, 15 giorni in più nessuno si scandalizza. Basta che non sia un modo per rinviare".
Le rettifiche riguarderebbero soprattutto la composizione e le modalità di designazione dei senatori, che comunque non sarebbero scelti con le elezioni politiche, ma, coerentemente con il progetto di "Senato delle autonomie", all'interno delle Regioni e dei Comuni.
"Non è un progetto autoritario, faremo tutti gli sforzi per trovare un punto comune. Ma se non si trova, sono pronto a fare un passo indietro. A tutti i costi non ci sto, piuttosto vado a a casa", ha detto il premier ai suoi senatori, come riferito da uno di loro.
"MANI LIBERE A REGIONI SU MODALITA' ELEZIONE SENATORI"
Renzi avrebbe poi avanzato una "proposta di sintesi" sulla designazione dei senatori: "Lasciamo alle Regioni le modalità di individuazione dei consiglieri regionali che ricopriranno il ruolo di senatori".
"Prendo poi atto delle critiche all'idea, mutuata dal Bundesrat tedesco, che il capo dello Stato nomini 21 senatori", ha aggiunto, come riferito da un secondo partecipante.
Al termine della riunione Renzi non ha rilasciato dichiarazioni, ma il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini ha detto: "Mi sembra che si vada verso l'elezione indiretta dei senatori e ci possa essere condivisione su questo nel Pd".
Il ddl costituzionale presentato dal governo in Senato per la prima lettura prevede che sia solo la Camera dei deputati ad esercitare la piena funzione legislativa, la sola a votare la legge di bilancio e ad avere un rapporto esclusivo di fiducia con il governo, esercitando il controllo su di esso.
Il nuovo Senato concorrerebbe comunque alla formazione delle leggi costituzionali, quelle di attuazione delle norme Ue, all'elezione del presidente della Repubblica e dei membri del Csm e della Consulta per la quota di competenza del Parlamento. Potrebbe poi avanzare proposte di modifica ai disegni di legge in discussione alla Camera che riguardano argomenti con ricadute sugli enti territoriali.
Quanto alla composizione - il tema al centro delle critiche all'interno e fuori dal Pd - il ddl governativo prevede che nel nuovo Senato siedano 148 rappresentati di Regioni e sindaci in quota paritaria più 21 nominati dal capo dello Stato (su 320 senatori attuali). Di diritto sarebbero senatori i presidenti di regione e provincia autonoma (Trento e Bolzano) e i sindaci dei capoluogo di regione e di provincia autonoma. Per gli altri ci sarebbe l'elezione indiretta da parte dei consigli regionali tra propri componenti (2 per ogni regione) e da parte di una assemblea di sindaci di ciascuna regione tra i loro componenti (2 per ogni regione).
Ma Vannino Chiti e altri senatori del Pd hanno depositato in Senato una proposta alternativa che prevede di mantenere l'elezione dei senatori direttamente dai cittadini.
"C'è un approfondimento in corso", ha detto oggi Chiti. "Una possibile mediazione è che alle elezioni dei consigli regionali i cittadini scelgano dei consiglieri che siederanno anche in Senato".
La relatrice del provvedimento al Senato, Anna Finocchiaro del Pd, dovrebbe presentare il disegno di legge dell'esecutivo assieme ad alcuni emendamenti concordati tra maggioranza e governo in commissione Affari costituzionali all'inizio della prossima settimana, probabilmente martedì prossimo come ha detto una fonte del Pd. Dopodiché potrà partire l'iter di approvazione.
"Chiti, se vorrà, potrà riformulare le sue proposte come emendamenti, ma mi sembra che il partito non sia disposto a mettere altri ostacoli", ha detto una fonte della corrente di minoranza del Pd.
Renzi puntava ad ottenere il primo voto parlamentare del suo ambizioso ddl, che toglie anche alcuni poteri alle Regioni ed abolisce il Cnel, proprio in Senato prima delle elezioni europee del 25 maggio.
Ma la resistenza di Forza Italia, che pur essendo all'opposizione ha stretto un patto con Renzi per fare le riforme istituzionali e cambiare la legge elettorale, e la fronda interna al Pd ha costretto Renzi ad accettare lo slittamento del voto a dopo le Europee, il 10 giugno, e a cercare una mediazione sui contenuti.
(Roberto Landucci e Alberto Sisto)


30 aprile 2014

domenica 13 aprile 2014

È NATO NUOVO SINDACATO MAROCCHINO PER LA MASS MEDIA PRESIEDUTO DA HICHAM EL MEDRAOUI

13/04/2014
La città Agadir, in Marocco, ha vissuto sabato un evento straordinario nella vita della mass media marocchina. Riuniti nel Complesso socioculturale Mohammed Jamal Dorra, una decina di giornalisti e blogger hanno dato la via alla costituzione del Sindacato Marocchino delle Professioni della Media. Il sindacato volto ad arricchire il campo della mass media in quanto “è aperto a tutti senza esclusione alcuna” come precisa il comitato organizzativo.
Il nuovo sindacato intende raccogliere giornalisti, fotografi reporter, funzionari del ministero della comunicazione, studenti delle istituti universitari di giornalismo e tutti che hanno legami con la Mass Media.
È ben nota la partecipazione giovanile alla nascita di questo strumento, oltre alla presenza del Delegato del ministero della Comunicazione della regione Souss Massa.
Dopo aver approvato lo statuto e l’atto costitutivo del Sindacato, è stato eletto presidente il giornalista Hicham El Medraoui. Soddisfatto, il presidente El Medraoui, ha sottolineato che “il nuovo sindacato sarà un valore aggiunto al senario dell’informazione e della comunicazione nel paese” e ha continua che “è una realtà nuova ed unica in Marocco che raccoglierà tutte le amine della Mass Media marocchina”.
Hicham El Medraoui, direttore della rivista dedicata al Sahara “Assahrae al Ousbouiya”, è molto noto nel Maghreb per le sue inchieste sulla situazione nei campi di Tindouf in Algeria. Perché questo è una persona non grata in Algeria. Nell’ottobre 2010 è stato arrestato e maltrattato dalla polizia algerina nell’aeroporto di Algeri mentre recava nei campi di Tindouf per una inchiesta sulla situazione della popolazione e nel 2013, al Forum Sociale Mondiale a Tunisi, è stato barbaramente aggredito da algerini e i separatisti del “polisario”.


Yassine Belkassem

lunedì 7 aprile 2014

Mali: Patriarca dei Tuareg ritorna a Kidal e lancia appello per la pace

Bamako, 7 Aprile 2014 - Il patriarca Intalla Ag Attaher dei Tuareg della regione Kidal nel nord est del Mali rientrato a casa dopo due mesi di ricovero in Marocco, ha lanciato appello per la pace definitivo affinché le tutte  popolazioni del Nord e del Sud si attivino nello sviluppo del Paese.
Intalla Ag Attaher ha incoraggiato il Sovrano a proseguire gli sforzi per riportare la pace nel nord del Mali.
Recentemente, con il consenso del governo maliano, il Re Mohammed VI ha ricevuto in Marocco anche Bilal Ag Acherif, leader del Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad (MNLA), la ribellione tuareg. In questa occasione, il Sovrano marocchino, ha chiesto al leader dei ribelli Tuareg a usare unicamente la via del dialogo.
I negoziati tra il governo del Mali e vari gruppi armati nel nord, ripreso timidamente, qualche settimane fa, in cui ciascuna parte accusa l'altra di non rispettare i suoi impegni.
I ribelli tuareg erano alleati degli islamisti armati che occupavano il nord del Mali per diversi mesi nel 2012 prima di una risposta internazionale, guidata dalla Francia e ancora in corso, per cacciare via i jihadisti dalle grandi città di questa parte del paese.


Yassine Belkassem

giovedì 3 aprile 2014

NUOVO PIANO INDUSTRIALE IN MAROCCO, CRESCITA E LAVORO

Casablanca 03 aprile 2014 - Una nuova strategia industriale da attuare tra il 2014 e il 2020 per consolidare i progressi registrati nell’ultimo decennio e creare 500.000 posti di lavoro in Marocco. Il piano di sviluppo dell’industria marocchina è stato presentato, ieri, a Casablanca dal ministero dell’Industria, che lo ha illustrato al Re Mohammed VI.  
Con in dotazione un fondo iniziale di due miliardi di euro, la nuova strategia punta all’espansione dell’industria locale nel settore automobilistico e aeronautico, ma anche all’emergenza di altre specialità, tra cui chimica e produzione farmaceutica. 
Nelle intenzioni del governo, il sostegno dello Stato all’industria porterà alla creazione di mezzo milione di posti di lavoro oltre che all’aumento del contributo del settore al prodotto interno lordo, che potrebbe passare dal 14 al 23% entro 2020. 

Il programma subentra al Patto nazionale per l’emergenza industriale (Pnei), lanciato nel 2008, che ha segnato l’ingresso sul mercato del paese del Maghreb di grandi gruppi stranieri, tra cui il francese Renault e il canadese Bombardiere. Si tratta di un programma cardinale che fa parte dell'estensione della strategia Emergence. Questo piano rappresenta una evoluzione d’Emergenza verso ecosistemi performanti per rafforzare gli acquisiti e amplificare i risultati. Egli metterà il Marocco tra le nazioni emergenti d’America, Europa, Medio Oriente e dell’Africa e permettergli così di tracciare il suo percorso economico sicuro. Il piano sarà basato su misure chiave, tra cui la creazione di un nuovo rapporto tra grandi imprese e piccole e medie imprese, il rafforzamento del ruolo dell’industria come un fornitore di grande occupazione e il miglioramento  i benefici sociali ed economici della richiesta pubblica mediante la compensazione industriale.

martedì 1 aprile 2014

“Attenzione, il Sahara rischia di esplodere” di Tahar Ben Jelloun

di Tahar Ben Jelloun
Un conflitto resta aperto da 38 anni tra l’Algeria e il Marocco. Nel novembre del 1975, con la marcia pacifica di 350.000 uomini, il Marocco si riprese il Sahara Occidentale, fino a quel momento occupato dalla Spagna. Ritirandosi, la Spagna lasciò al Marocco il compito di sbrogliare la questione territoriale con i vicini (Mauritania e Algeria), interessati anch’essi a questa parte del regno marocchino. L’Algeria ha sempre cercato l’uscita sull’Atlantico. Questo è il motivo per il quale ha sostenuto, finanziato e armato un movimento di liberazione del Sahara, il Polisario. Da quel momento, tra i due Paesi si è innescato qualcosa di più di una semplice diatriba di confine, con scontri che talvolta si sono trasformati in brevi guerre. Il Marocco ha fatto tutto il possibile sul piano del diritto internazionale per dimostrare che la regione rientra nell’integrità del suo territorio e che continuerà a battersi per preservarlo e svilupparlo.
L'Algeria, invece, non la vede così. Sistematicamente, ogni qual volta si propone una soluzione, l’Algeria vi si oppone, anche quando il piano ha il consenso delle Nazioni Unite, degli Stati Uniti o dell’Europa. Così è avvenuto nel 2007 con la proposta marocchina che, garantendo agli abitanti della regione il rispetto dei loro interessi e delle loro specificità culturali e regionali, sulla base di una regionalizzazione e di una decentralizzazione, mirava a dare alla regione una forte spinta nello sviluppo economico e umano.
L’Algeria dei militari (che governano il Paese dall’indipendenza nel 1962) è ferma nella sua posizione di principio, vale a dire, “permettere alle popolazioni di quella regione di autodeterminarsi”, e non è stato possibile organizzare un referendum perché le due parti non erano d’accordo sul numero degli abitanti del territorio in questione. D’altra parte,l’Algeria rifiuta di aprire le frontiere. La situazione è dunque bloccata.
In occasione dell’ultima Marcia verde, re Mohamed VI ha reagito con fermezza parlando chiaramente della disputa. La collera del Marocco è stata provocata da un discorso del presidente Bouteflika in occasione di una conferenza africana di solidarietà con il popolo saharaui. Bouteflika affermava che «la necessità di un meccanismo internazionale di monitoraggio dei diritti dell’uomo nel Sahara, non è mai stata così attuale«. Il Re ha risposto che «il Marocco non riceve lezioni da chi disprezza i diritti umani».
Gli ambasciatori sono stati prima richiamati in patria, poi rimandati nelle loro sedi. Come ha scritto un giornale indipendente, la crisi è grave: «Le provocazioni e le ostilità dell’Algeria ufficiale, che è parte in causa nel conflitto e se ne serve per mantenere i propri interessi egemonici nella regione, sono tali e tante che è impossibile tenerne il conto».
L’Algeria è un Paese molto ricco. Ha giacimenti di petrolio e di gas immensi. Invece di concentrarsi sullo sviluppo e di adoperarsi per un Maghreb Unito, preferisce alimentare un conflitto che ha un alto costo per tutte le parti coinvolte. Tra l’altro, i campi a Tindouf, dove sono confinati i saharaui, sono diventati dei campi di addestramento del terrorismo internazionale. Questo addensarsi di pericoli nel sud dell’Algeria ha suscitato la preoccupazione degli Stati Uniti. Per esempio, certi gruppi terroristici che agiscono nel nord del Mali provengono proprio da questa regione.
Perché l’Algeria si oppone al piano di autonomia proposto dal Marocco dal 2007?
Semplicemente perché il potere algerino teme che ispiri l’opposizione cabila e faccia precipitare il paese in una situazione inestricabile.
Bruce Riedel, direttore dell’“Intelligence Project” del Brookings Institution, ha scritto che «i generali algerini hanno deciso di prolungare nel tempo e il più a lungo possibile lo status quo, temendo ogni sviluppo che possa andare verso una qualsiasi apertura politica e condurre quindi potenzialmente a rivendicazioni democratiche che ai loro occhi rappresentano un pericolo».
La primavera araba non ha, infatti, trovato una sua strada in questo Paese. Il popolo algerino è stanco, martoriato da una guerra civile atroce che dura da più di dieci anni, conseguente all’annullamento da parte del potere ad Algeri delle elezioni del 1991 vinte dal Fronte islamico della salvezza. Invece di dare un sostegno e contribuire a sviluppare l’Unione del Maghreb, lo Stato algerino insiste nel sostenere un movimento che può diventare un vero pericolo per la regione. Immaginiamo per un attimo che all’avvio dell’Europa, negli anni Sessanta, i cinque Paesi del Maghreb avessero fatto convergere le loro economie, le loro culture e i loro progetti: oggi costituirebbero un’entità forte e importante in grado di imporsi con forza sulla scena internazionale. Invece, gli egoismi degli uni e la paura degli altri hanno ceduto il terreno alle avventure criminali del terrorismo e alle manovre per ostacolare lo sviluppo economico e degli abitanti della regione. I popoli, tuttavia, sono saggi e oggi, sia in Marocco sia in Algeria, le popolazioni si stanno pentendo amaramente delle posizioni oltranziste che hanno fatto il gioco delle divisioni e del sottosviluppo. Il problema del Sahara è stato fin dall’inizio un pretesto per mettere i bastoni tra le ruote al Marocco. Dietro alla presidenza di Abdelaziz Bouteflika, che nel 1975 era ministro degli Affari esteri e ha appena annunciato di volersi candidare per il quarto mandato come Capo dello Stato «perché lo vuole il popolo» (elezioni il 17 aprile), i fili li tirano i generali che non hanno alcun interesse a risolvere la situazione: il «popolo», prima o poi, potrebbe chiedere loro di risponderne.

traduzione di Guiomar Parada