di Tahar Ben Jelloun
Un conflitto resta aperto da 38 anni tra
l’Algeria e il Marocco. Nel novembre del 1975, con la marcia pacifica di
350.000 uomini, il Marocco si riprese il Sahara Occidentale, fino a quel
momento occupato dalla Spagna. Ritirandosi, la Spagna lasciò al Marocco il
compito di sbrogliare la questione territoriale con i vicini
(Mauritania e Algeria), interessati anch’essi a questa parte del regno
marocchino. L’Algeria ha sempre cercato l’uscita sull’Atlantico. Questo è il
motivo per il quale ha sostenuto, finanziato e armato un movimento di
liberazione del Sahara, il Polisario. Da quel momento, tra i due Paesi si è
innescato qualcosa di più di una semplice diatriba di confine, con scontri che
talvolta si sono trasformati in brevi guerre. Il Marocco ha fatto tutto il
possibile sul piano del diritto internazionale per dimostrare che la regione
rientra nell’integrità del suo territorio e che continuerà a battersi per
preservarlo e svilupparlo.
L'Algeria,
invece, non la vede così. Sistematicamente, ogni qual volta si propone una
soluzione, l’Algeria vi si oppone, anche quando il piano ha il consenso delle
Nazioni Unite, degli Stati Uniti o dell’Europa. Così è avvenuto nel 2007 con la
proposta marocchina che, garantendo agli abitanti della regione il rispetto dei
loro interessi e delle loro specificità culturali e regionali, sulla base di
una regionalizzazione e di una decentralizzazione, mirava a dare alla regione
una forte spinta nello sviluppo economico e umano.
L’Algeria dei
militari (che governano il Paese dall’indipendenza nel 1962) è ferma nella sua
posizione di principio, vale a dire, “permettere alle popolazioni di quella
regione di autodeterminarsi”, e non è stato possibile organizzare un referendum
perché le due parti non erano d’accordo sul numero degli abitanti del territorio
in questione. D’altra parte,l’Algeria rifiuta di aprire le frontiere. La
situazione è dunque bloccata.
In occasione
dell’ultima Marcia verde, re Mohamed VI ha reagito con fermezza parlando
chiaramente della disputa. La collera del Marocco è stata provocata da un
discorso del presidente Bouteflika in occasione di una conferenza africana di
solidarietà con il popolo saharaui. Bouteflika affermava che «la necessità di
un meccanismo internazionale di monitoraggio dei diritti dell’uomo nel Sahara,
non è mai stata così attuale«. Il Re ha risposto che «il Marocco non riceve
lezioni da chi disprezza i diritti umani».
Gli
ambasciatori sono stati prima richiamati in patria, poi rimandati nelle
loro sedi. Come ha scritto un giornale indipendente, la crisi è grave: «Le
provocazioni e le ostilità dell’Algeria ufficiale, che è parte in causa nel
conflitto e se ne serve per mantenere i propri interessi egemonici nella
regione, sono tali e tante che è impossibile tenerne il conto».
L’Algeria è un Paese molto ricco. Ha giacimenti di petrolio e di gas immensi. Invece di concentrarsi sullo sviluppo e di adoperarsi per un Maghreb Unito, preferisce alimentare un conflitto che ha un alto costo per tutte le parti coinvolte. Tra l’altro, i campi a Tindouf, dove sono confinati i saharaui, sono diventati dei campi di addestramento del terrorismo internazionale. Questo addensarsi di pericoli nel sud dell’Algeria ha suscitato la preoccupazione degli Stati Uniti. Per esempio, certi gruppi terroristici che agiscono nel nord del Mali provengono proprio da questa regione.
L’Algeria è un Paese molto ricco. Ha giacimenti di petrolio e di gas immensi. Invece di concentrarsi sullo sviluppo e di adoperarsi per un Maghreb Unito, preferisce alimentare un conflitto che ha un alto costo per tutte le parti coinvolte. Tra l’altro, i campi a Tindouf, dove sono confinati i saharaui, sono diventati dei campi di addestramento del terrorismo internazionale. Questo addensarsi di pericoli nel sud dell’Algeria ha suscitato la preoccupazione degli Stati Uniti. Per esempio, certi gruppi terroristici che agiscono nel nord del Mali provengono proprio da questa regione.
Perché
l’Algeria si oppone al piano di autonomia proposto dal Marocco dal 2007?
Semplicemente
perché il potere algerino teme che ispiri l’opposizione cabila e faccia
precipitare il paese in una situazione inestricabile.
Bruce Riedel,
direttore dell’“Intelligence Project” del Brookings Institution, ha scritto che
«i generali algerini hanno deciso di prolungare nel tempo e il più a lungo
possibile lo status quo, temendo ogni sviluppo che possa andare verso una
qualsiasi apertura politica e condurre quindi potenzialmente a rivendicazioni
democratiche che ai loro occhi rappresentano un pericolo».
La primavera
araba non ha, infatti, trovato una sua strada in questo Paese. Il popolo
algerino è stanco, martoriato da una guerra civile atroce che dura da più di
dieci anni, conseguente all’annullamento da parte del potere ad Algeri delle
elezioni del 1991 vinte dal Fronte islamico della salvezza. Invece di dare un
sostegno e contribuire a sviluppare l’Unione del Maghreb, lo Stato algerino
insiste nel sostenere un movimento che può diventare un vero pericolo per la
regione. Immaginiamo per un attimo che all’avvio dell’Europa, negli anni
Sessanta, i cinque Paesi del Maghreb avessero fatto convergere le loro
economie, le loro culture e i loro progetti: oggi costituirebbero un’entità
forte e importante in grado di imporsi con forza sulla scena internazionale.
Invece, gli egoismi degli uni e la paura degli altri hanno ceduto il terreno
alle avventure criminali del terrorismo e alle manovre per ostacolare lo
sviluppo economico e degli abitanti della regione. I popoli, tuttavia, sono
saggi e oggi, sia in Marocco sia in Algeria, le popolazioni si stanno pentendo
amaramente delle posizioni oltranziste che hanno fatto il gioco delle divisioni
e del sottosviluppo. Il problema del Sahara è stato fin dall’inizio un pretesto
per mettere i bastoni tra le ruote al Marocco. Dietro alla presidenza di
Abdelaziz Bouteflika, che nel 1975 era ministro degli Affari esteri e ha appena
annunciato di volersi candidare per il quarto mandato come Capo dello Stato
«perché lo vuole il popolo» (elezioni il 17 aprile), i fili li tirano i
generali che non hanno alcun interesse a risolvere la situazione: il «popolo»,
prima o poi, potrebbe chiedere loro di risponderne.
traduzione di Guiomar Parada
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