mercoledì 24 febbraio 2016

ALGERIA. Alcune violazioni dei diritti umani nel 2015 (Amnesty International)

Le autorità hanno imposto restrizioni alle libertà d’espressione, associazione e riunione, arrestando, perseguendo e incarcerando manifestanti pacifici, atti­visti e giornalisti. Le donne dalla violenza subiscono ancora. I responsabili di tortura e altre gravi violazioni dei diritti uma­ni compiute nel corso degli anni Novanta hanno continuato a eludere la giustizia. I migranti irregolari hanno subìto trattamenti deplorevoli, comprese espulsioni som­marie. I tribunali hanno emesso condanne a morte; non ci sono state esecuzioni.

CONTESTO
A gennaio, nel sud del paese si sono svolte manifestazioni di protesta senza precedenti contro il fracking, il sistema di fratturazione idraulica della roccia per estrarre gas di scisto.
A luglio, almeno 25 persone sono rimaste uccise e altre sono state ferite nel corso di violenze tra comunità nella valle del M’zab, 600 km a sud della capitale Algeri.
Secondo fonti di stampa, in varie parti del paese si sono verificati scontri tra le forze di sicurezza e gruppi armati d’opposizione.
Le autorità hanno dichiarato che le forze di sicurezza avevano ucciso 109 persone accusate di essere membri di gruppi armati, ma hanno fornito scarse informazioni sulle circostanze delle ucci­sioni.
Il gruppo armato al-Qaeda nel Maghreb islamico Aqmi ha rivendicato la responsabilità di un attentato compiuto a luglio nella provincia settentrionale di Ain Defla, costato la vita a 14 soldati.
Le autorità hanno continuato a respingere le richieste di visita nel paese da par­te di organismi ed esperti sui diritti umani delle Nazioni Unite, come quelli sulla tortura, l’antiterrorismo, le sparizioni forzate e la libertà d’associazione1. Le auto­rità hanno continuato a non rilasciare il visto d’ingresso nel paese al personale di Amnesty International per condurre ricerche sui diritti umani.

LIBERTÀ DI RIUNIONE
A gennaio, le autorità hanno risposto alle proteste contro la disoccupazione orga­nizzate nella città meridionale di Laghouat arrestando attivisti e manifestanti pa­cifici, compresi alcuni che avevano aderito alle proteste in segno di solidarietà con gli attivisti detenuti. Alcuni degli arrestati sono stati processati per accuse come partecipazione a “raduni non armati”; tra questi c’erano Mohamed Rag, Belkacem Khencha e altri membri del Comitato nazionale per la difesa dei diritti dei disoc­cupati (Comité national pour la défense des droits des chômeurs – Cnddc), i quali sono stati condannati con sentenze da uno a due anni di reclusione, alcune in se­guito ridotte in appello.
A marzo, un tribunale della città meridionale di El Oued ha condannato cinque manifestanti pacifici a reclusioni fino a quattro mesi.
A ottobre, una corte di Tamanrasset ha condannato sette manifestanti a un anno di carcere;
A ottobre, una corte di Tamanrasset ha condannato sette manifestanti a un anno di carcere.
Le autorità hanno confermato la messa al bando di qualsiasi manifestazione ad Algeri. A febbraio, le forze di sicurezza hanno impedito lo svolgimento di un radu­no pacifico a sostegno dei manifestanti contro il fracking, arrestando i partecipanti mentre giungevano sul luogo della protesta e trattenendoli per diverse ore.
A giugno, la polizia ha disperso con la forza una protesta pacifica organizzata da Sos Disparus, un’organizzazione impegnata in campagne a favore delle vittime di sparizioni forzate durante il conflitto interno degli anni Novanta, alla quale parte­cipavano anche anziani parenti delle persone scomparse, la cui sorte non è mai stata rivelata dalle autorità.

LIBERTÀ D’ESPRESSIONE
Le autorità hanno perseguito giornalisti, fumettisti, attivisti e altre persone per oltraggio, diffamazione e accuse analoghe.
A febbraio, un tribunale di Oran ha giudicato Mohamed Chergui colpevole di aver insultato il profeta Maometto, dopo che il quotidiano per cui lavorava, El Djoumhou­ria, lo aveva denunciato per un articolo che questi aveva inviato al giornale, conte­nente riferimenti a una ricerca accademica sull’Islam condotta all’estero. È stato condannato a tre anni di carcere e al pagamento di un’ammenda di 200.000 dinari algerini (circa 1.900 dollari Usa), in sua assenza. La sua condanna è stata poi ridot­ta a un anno con sospensione della pena, per la quale ha fatto ricorso.
A marzo, un tribunale di El Oued ha condannato l’attivista anticorruzione e mem­bro del Cnddc Rachid Aouine al pagamento di una multa di 20.000 dinari algerini (circa 190 dollari Usa) e a sei mesi di reclusione, pena poi ridotta a quattro mesi in appello, ritenendolo colpevole di “istigazione a raduno non armato”. L’accusa si riferiva a un commento sarcastico postato su Facebook.
Il giornalista Abdelhai Abdessamia è stato rilasciato su cauzione a settembre, dopo aver trascorso oltre due anni in carcere in detenzione preprocessuale. Lavorava per i giornali Djaridati e Mon Journal fino alla chiusura delle due testate da parte delle autorità, avvenuta nel 2013 per la diffusione di notizie sulla salute del presidente Bouteflika. Le autorità lo accusavano di aver aiutato il direttore editoriale delle testa­te a lasciare clandestinamente il paese per andare in Tunisia. Dopo il suo arresto, nel 2013, Abdelhai Abdessamia era stato trattenuto per sei giorni in detenzione arbitraria dalla polizia giudiziaria, in violazione della legislazione algerina, prima di essere consegnato per l’interrogatorio alla gendarmeria nazionale e alla sicurezza militare.
A ottobre, le forze di sicurezza hanno arrestato l’attivista Hassan Bouras, membro di rilievo della Lega algerina per la difesa dei diritti umani (Ligue Algérienne pour la Défense des Droits de l’Homme – Laddh), nella città occidentale di El Bayadh. A fine anno era ancora in carcere, mentre era sotto indagine per “insulto alle istituzioni pubbliche” e “istigazione di cittadini o residenti a impugnare le armi contro le autorità del­lo Stato o gli uni contro gli altri”, accuse che potevano comportare la pena di morte.
A novembre, un tribunale di El Oued ha condannato il fumettista Tahar Djehiche a sei mesi di carcere e a una multa di 500.000 dinari algerini (circa 4.600 dollari Usa), per “insulto” al presidente Bouteflika e “istigazione” di altri a unirsi a una protesta per il gas di scisto, in un commento che aveva pubblicato sulla sua pagina Facebook. Era già stato assolto in precedenza da un tribunale di primo grado. A fine anno era in libertà in attesa dell’esito dell’appello presso l’Alta corte.

LIBERTÀ D’ASSOCIAZIONE
Associazioni che avevano cercato di registrarsi legalmente secondo la Legge 12-06, compresa Amnesty International Algeria, sono rimaste in una sorta di limbo legale in attesa che le autorità fornissero una risposta alla loro domanda di regi­strazione. La legge, in vigore dal 2012, imponeva generiche e arbitrarie restrizioni per la registrazione delle associazioni e prevedeva il reato di appartenenza a un’as­sociazione non registrata, sospesa o sciolta, punibile con una pena carceraria fino a sei mesi e il pagamento di un’ammenda.

DIFENSORI DEI DIRITTI UMANI
A agosto, le autorità italiane hanno arrestato l’avvocato per i diritti umani Rachid Mesli, fondatore di Alkarama, una Ngo per i diritti umani con sede a Ginevra, e rifugiato politico in Svizzera. Il suo arresto è avvenuto dopo che le autorità algerine avevano chiesto la sua estradizione, con l’accusa di aver fornito telefonini e video­camere a gruppi terroristici, imputazioni per le quali era stato giudicato colpevole in contumacia in Algeria, sulla base di una sua precedente “confessione” che egli aveva dichiarato essergli stata estorta sotto tortura. Le autorità giudiziarie italiane lo hanno posto agli arresti domiciliari per oltre tre settimane, prima di revocare il provvedimento e permettergli di ritornare in Svizzera.
A dicembre, le autorità locali hanno vietato un evento di formazione ad Algeri ai membri del Coordinamento del Maghreb delle organizzazioni per i diritti umani, tra cui difensori dei diritti umani provenienti da Algeria, Marocco, Tunisia e Mauritania.

SISTEMA GIUDIZIARIO
A luglio, il governo ha emanato un decreto che apportava emendamenti al codice di procedura penale, che ampliava le alternative alla detenzione preventiva e prepro­cessuale. Ai sospettati veniva specificatamente garantito il diritto di accedere agli avvocati durante la detenzione preprocessuale, ma non durante l’interrogatorio.
A luglio, a seguito degli scontri mortali nel nord della regione Saharan, le forze di sicurezza hanno arrestato 25 persone a Ghardaia, tra cui Kameleddine Fekhar e altri attivisti che supportavano l’autonomia della regione del Mzab, ponendoli in detenzione preprocessuale per indagini su sospetti di terrorismo e istigazione all’odio. A fine anno erano ancora in carcere.

DIRITTI DELLE DONNE
A dicembre, i legislatori hanno modificato il codice penale, rendendo reato la vio­lenza fisica contro il coniuge e gli attacchi indecenti contro le donne in pubblico (non in casa).
Tuttavia, le donne continuavano a non essere adeguatamente protette dalla violen­za di genere, in assenza di una legge esauriente, e il codice penale continuava a concedere l’impunità giudiziaria agli uomini responsabili dello stupro di ragazze al di sotto dei 18 anni, se sposavano la loro vittima.

IMPUNITÀ
Nel 2015 ricorreva il 10° anniversario della Carta per la pace e la riconciliazione nazionale, che garantiva alle forze di sicurezza l’immunità per i crimini commessi durante il conflitto interno degli anni Novanta e negli anni successivi e criminaliz­zava chi criticava pubblicamente la loro condotta durante gli anni del conflitto.
Le autorità hanno continuato a non indagare sulle migliaia di sparizioni forzate e altre gravi violazioni dei diritti umani e abusi, a non assicurare alla giustizia i respon­sabili e a non fornire rimedi legali efficaci alle famiglie delle vittime. I familiari delle persone scomparse, ancora impegnati nella ricerca di verità e giustizia per i loro cari, sono stati posti sotto sorveglianza e ripetutamente convocati dalle forze di sicurezza per essere interrogati.

DIRITTI DI RIFUGIATI E MIGRANTI
Profughi e migranti subsahariani hanno continuato a entrare irregolarmente in Algeria, passando per lo più attraverso i confini meridionali, dove si è verificata la maggior parte degli arresti di migranti e richiedenti asilo, effettuati dalle forze di sicurezza algerine. Secondo fonti di stampa, ad aprile l’esercito algerino ha arrestato circa 500 migranti subsahariani vicino al confine con il Niger.

PENA DI MORTE

I tribunali hanno emesso decine di condanne a morte, per lo più per omicidio e reati di terrorismo, riguardanti anche casi giudiziari risalenti al conflitto interno degli anni Novanta. 

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