giovedì 23 gennaio 2014

Frugando tra i segreti algerini si scopre il perché dei guai libici

Analisi di Pio Pompa

Il Foglio del 23.01.2014

Poco più di un anno fa (16 gennaio 2013), alle prime ore del mattino, un commando jihadista attaccava il complesso gasiero di In Amenas, nel sud dell’Algeria, uccidendo e sequestrando decine di lavoratori quasi tutti stranieri. Sin dall’inizio fu chiaro che si trattava di un’operazione suicida, destinata a concludersi in un bagno di sangue. Nessuno sospettava che su una tragedia del genere il governo di Algeri potesse stendere una coltre di silenzio rendendo difficile la ricostruzione dei fatti e, persino, l’accertamento del numero esatto delle persone, tra vittime e assalitori, rimaste uccise. Ancora oggi si è fermi al bilancio, reso noto due giorni dopo la conclusione del sequestro, secondo cui 37 cittadini stranieri di otto diverse nazionalità, una guardia di sicurezza algerina e 29 terroristi rimasero uccisi all’interno del sito gasiero. Dati che, da subito, suscitarono perplessità giacché risultava che il commando fosse composto da almeno 40 elementi.
Una versione vicina alla realtà la fornì il quotidiano arabo el Watan rivelando l’uccisione di oltre 30 jihadisti mentre altri sette sarebbero stati catturati dalle forze algerine. “Il fatto è – confida al Foglio una fonte – che passato l’iniziale smarrimento, l’esercito e gli apparati di sicurezza algerini rifiutarono qualsiasi aiuto straniero e ogni forma di negoziato scegliendo la linea dura del blitz militare. Non potevano consentire che alla figuraccia si aggiungessero alcune imbarazzanti scoperte.
Primo: molti dei terroristi erano algerini per lungo tempo nascosti nei campi saharawi di Tindouf e, segnatamente, in quelli di Auserd e Smara ritenuti, per via della loro povertà, terreno d’elezione per il reclutamento di giovani saharawi da avviare al jihad e al martirio delle operazioni suicide. E’ in quei campi che hanno soggiornato l’ideatore della strage di In Amenas, Mokhtar Belmokhtar, e i suoi due luogotenenti, Abderrahmane el Nigiri e Lamine Bencheneb, entrambi morti nel sito gasiero.
Secondo: la presenza di jihadisti, da tempo infiltrati tra le maestranze che avevano offerto al commando terrorista sostegno informativo e logistico. I seguaci di Moktar Belmokhtar, nella sola Algeria, ammontano a oltre duemila unità in continuo movimento soprattutto a ridosso dei confini con la Libia. Nonostante la repressione delle autorità algerine, i membri del nuovo gruppo terrorista guidato da Belmokhtar, al Mourabitoun, hanno fondato diverse scuole per l’addestramento di giovani kamikaze alcuni dei quali si sono già immolati in Mali, Libia e Siria.
Terzo: l’accidentale uccisione di ostaggi da parte delle truppe speciali algerine”.

Oggi il complesso gasiero di In Amenas è divenuto una fortezza impenetrabile e Algeri ha provveduto a dispiegare lungo il confine con la Libia oltre 20 mila uomini. Alcuni degli automezzi usati dal commando jihadista provenivano dalla regione libica della Cirenaica e avevano sfilato nel settembre 2012 a Derna, la stessa città dove venerdì scorso sono stati sequestrati i due operai edili italiani, Francesco Scalise e Luciano Gallo, durante una parata militare di formazioni filoqaidiste. Tuttavia ciò che si è cercato di nascondere a In Amenas è emerso dopo un anno con chiarezza: l’algerino Mokhtar Belmokhtar, che via radio impartiva gli ordini al commando jihadista, ha ancora milizie e basi operative sia in Algeria sia in Libia dove si è più volte rifugiato. Intanto, alcuni mesi dopo la strage di In Amenas, anche la Francia è corsa ai ripari attivando un dispositivo di sorveglianza aerea, tramite due caccia Rafale di stanza a N’Djamena, nel Ciad, lungo i confini con la Libia e tra il Niger e la Libia, per individuare i veicoli sospetti provenienti dal sud di quella “polveriera libica”che tutti ormai temono ed evitano.

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